Bozza Dlgs contributi diretti post CdM
22 Maggio 2017Beffa riforma editoria, intervista al presidente FILE Roberto Paolo
22 Maggio 2017Osservazioni sui decreti delegati della riforma dell’editoria
Il decreto previsto dall’articolo 2 della legge 26 ottobre 2016, n. 198, è in linea con l’esigenza avvertita dal legislatore di semplificare il sistema nel suo complesso, garantendo, al contempo un sostegno al pluralismo, l’occupazione e l’innovazione di processo e di prodotto. Il testo è nel suo complesso molto equilibrato ma contiene al suo interno alcuni passaggi che rischiano, da un lato, di alimentare il clima di incertezza giuridica che ha caratterizzato l’incertezze legislativa negli ultimi anni, soprattutto per l’iperproduzione legislativa, con il conseguente effetto in termini di contenzioso; e, dall’altro, quello di aprire la strada a possibili anomalie nella percezione di risorse pubbliche. Per queste ragioni suggeriamo di approfondire alcuni temi che, a nostro avviso, meriterebbero ulteriori riflessioni. Il carattere di estrema sintesi di questa breve nota è in linea con la tempistica prevista per l’approvazione definitiva del decreto.
Articolo 2)
Comma 1, lettere b) e c)
La lettura combinata del comma b) e del c) del comma 1 lascia qualche perplessità. Infatti è pacifico che le fondazioni sono enti senza scopi di lucro, come previsto, tra l’altro dal codice civile. Alla lettera b) si parla di “cooperative, fondazioni o enti senza fini di lucro”; e alla lettera c) esclusivamente di “enti senza fini di lucro”. Una lettura sistematica degli istituti delle fondazioni e delle cooperative, certamente senza scopo di lucro le prime, presumibilmente le seconde, nelle quali al carattere mutualistico può essere accompagnata con norma statutaria l’assenza del fine lucrativo crea, alla luce della nuova normativa crea, quindi, un problema di raccordo con il testo contenuto nella norma.
Per evitare, quindi, situazioni di incertezza giuridica e contenziosi si suggerisce, quindi:
2.1.b) dopo le parole “cooperative, fondazioni o” inserire la parola “altri”.
2.1.c) dopo le parole “enti senza fini di lucro” aggiungere le parole “quali enti morali, fondazioni o cooperative”.
Articolo 4)
Comma 1
In vari passaggi della legislazione in materia di contributi il riferimento ai giornalisti viene limitato ai professionisti ed ai pubblicisti, senza un riferimento ai giornalisti praticanti, ossia a quei giovani che vengono immessi nel mondo della professione. Ciò deriva dalla circostanza che tecnicamente i praticanti non sono iscritti all’Ordine, ma in una sezione speciale tenuto dallo stesso. Riterremmo, quindi, opportuno qualificare la figura dei giovani, in linea con le linee guida del legislatore, prevedendo esplicitamente al comma 4.1 che anche i giornalisti praticanti possono essere soci.
La nuova norma ha introdotto la figura del socio sovventore, limitatamente alla figura dei fondi mutualistici per la cooperazione che sono soggetti istituzionalmente delegati a sostenere il mondo cooperativistico. Non è, però, espressa la deroga esplicita per questi soggetti del divieto di partecipare a più cooperative. Quindi nell’ipotesi di specie un fondo potrebbe partecipare ad un’unica cooperativa giornalistica creando un evidente problema in termini di opportunità (quale giornale sceglie e sulla base di quali criteri dove investire un fondo?); problema che si amplifica tenendo conto della natura pubblica dei fondi mutualistici della cooperazione. Consigliamo, quindi, di prevedere che il divieto di cui ai numeri 3) e 4) della lettera d) non si applichi ai soggetti di cui al comma 2 del medesimo articolo 4.
Articolo 5)
Comma 1, lettera b)
La lettera b del comma 1 prevede il regolare adempimento degli obblighi derivanti dall’applicazione del contratto nazionale di lavoro. Questa norma, sollecitata dal sindacato dei giornalisti, è in linea di principio del tutto condivisibile. Ma occorrerebbe una più corretta individuazione delle fattispecie in modo da creare un equilibrato contemperamento delle tutele dei dipendenti e delle esigenze delle imprese (quasi sempre cooperative, quindi, con una forte partecipazione dei dipendenti nella gestione dell’impresa).
Suggeriamo, pertanto, di declinare le fattispecie che determinano l’individuazione di un inadempimento degli obblighi derivanti dall’applicazione del contratto nazionale di lavoro, ossia la sola ipotesi di soccombenza in un giudizio e di mancata corresponsione delle somme stabilite in sentenza nei tempi e con le modalità previste nella stessa.
Comma 1, lettera e)
La lettera e) del comma 1 prevede che per essere definito nazionale un quotidiano deve vendere in cinque regioni almeno il cinque per cento delle copie distribuite. Precedentemente erano tre regioni ma, soprattutto, il rapporto era con le copie vendute e non con quelle distribuite. Cambiando il denominatore si trasformano praticamente tutti i quotidiani in locali perché probabilmente nessun quotidiano nazionale vende in cinque regioni almeno il 5 per cento del distribuito. Consigliamo, quindi, di ripristinare il rapporto del 5% tra il venduto in una regione e il venduto complessivo, fermo rimanendo il raggiungimento del rapporto in almeno cinque regioni in modo da rafforzare concretamente il concetto di quotidiano nazionale.
Comma 2, lettera d)
La lettera d del comma 2 prevede che l’obbligo di proprietà della testata non si applica nelle ipotesi di comma 7 bis dell’articolo 1 del decreto legge 18 maggio 2012, n. 63 (nel testo non fanno riferimento alla legge di conversione e formalmente è un errore) e alle imprese di cui al comma 459 dell’articolo 1 della legge 23 dicembre 2005, n. 266.
Il riferimento, quindi, va fatto alla lettera c del comma 460 della medesima legge; si tratta, pertanto di un vero e proprio errore di scrittura che ci permettiamo di segnalare.
Articolo 6)
L’esigenza di garantire l’effettiva vendita dei giornali è ampiamente condivisa. Ma è opportuno tener conto anche del sostanziale tracollo della rete di vendita e della atavica incapacità delle Poste di recapitare i giornali con tempi in linea con le periodicità dei giornali. Si deve, inoltre, tener conto anche della eterogeneità dei prodotti editoriali (basti pensare ai quotidiani pomeridiani o a quelli diffusi in aree scarsamente coperte dalla rete di vendita o dalla distribuzione postale; ricordiamo che le Poste in molte aree del paese distribuiscono la corrispondenza e, quindi, anche i giornali due volte a settimana) Ferma restando, quindi, l’esigenza di garantire la tracciabilità delle copie e dei relativi flussi di pagamento, proponiamo di:
inserire alla fine del comma 2 e del comma 3 la seguente frase: “nella sola ipotesi di quotidiani con edizione pomeridiana, rientrano nel calcolo delle copie distribuite e vendute quelle venduta porta a porta, purché tracciabili e distribuiti tramite contratti con soggetti esterni non controllati dall’impresa editrice richiedente il contributo né ad esse collegate”.
Inoltre consigliamo di prevedere esplicitamente la possibilità, esclusivamente per i distributori e/o le edicole, di gestire in proprio dei punti vendita volanti (strillonaggio) purché le copie vendute siano comunque rientranti nella loro contabilità e quindi certificate.
Articolo 8
Commi 5, 6 e 10
La scelta del legislatore di introdurre degli scaglioni è condivisibile, ma nell’attuale stesura crea delle anomalie. Facciamo un esempio semplice. Un’impresa vende 2.700 copie al giorno per 360 giorni all’anno. Ha costi ammissibili pari a 2 mni di euro e, quindi, ha diritto ad un contributo pari a 900.000 euro sui costi e di 243.000 sulle copie. Se passa a 2.800 copie ha diritto ad un contributo pari a 700.000 euro sui costi e di 352.800 euro sulle copie. Perde, quindi, 100.000 euro all’anno perché vende di più. Ora è evidente che il sistema dovrebbe essere orientato a premiare le maggiori vendite e non a creare un meccanismo di disincentivazione delle stesse. Inoltre la soglia minima pari a 250.000 copie penalizza tutte le piccole realtà provinciali quotidiani che hanno un venduto pari a circa 1.000 copie al giorno. E anche qui, quindi, si crea un problema di possibile disincentivazione del venduto.
Per evitare questo, evidente, problema, si potrebbero fare dei passaggi intermedi dal 55 al 35 per cento e da 20 centesimi a 35 centesimi a copia introducendo, semplicemente cinque scaglioni.
Proviamo, quindi, ad ipotizzare un sistema di scaglioni che non dovrebbe comportare un incremento dei contributi ma potrebbe, invece, accompagnare un equilibrato percorso di recupero delle copie vendute.
Primo scaglione: da 10.000 a 400.000 copie; costi ammissibili: 55 per cento; contributo per copia 0,20 euro per i quotidiani, 0,25 per i periodici; contributo massimo 300.000 euro per i periodici; 500.000 euro per i quotidiani;
Secondo scaglione: da 400.000 a 1.000.000 copie; costi ammissibili: 50 per cento; contributo per copia 0,23 euro per i quotidiani, 0,27 per i periodici; contributo massimo 500.000 euro per i periodici; 1.000.000 euro per i quotidiani;
Terzo scaglione: da 1.000.000 a 1.800.000 copie; costi ammissibili: 45 per cento; contributo per copia 0,25 euro per i quotidiani, 0,30 per i periodici; contributo massimo 700.000 euro per i periodici; 1.500.000 euro per i quotidiani;
Quarto scaglione: da 1.800.000 a 2.500.000 copie; costi ammissibili: 40 per cento; contributo per copia 0,30 euro per i quotidiani e per i periodici; contributo massimo 800.000 euro per i periodici; 1.800.000 euro per i quotidiani.
Quinto scaglione: oltre 2.500.000; costi ammissibili: 35 per cento; contributo per copia 0,35 euro per i quotidiani e per i periodici; contributo massimo 1.500.000 per i periodici e 2.500.000 per i quotidiani.
Comma 7
Il comma 7 prevede che il contributo per i costi relativi all’edizione digitale siano pari al 75 per cento degli stessi, nell’ottica di favorire lo sviluppo dell’editoria digitale. Segnaliamo, e per tempo, che le zone cosiddette grigie possono insinuarsi proprio in questa tipologia di costi e che, pertanto, occorre individuare un sistema di garanzia della corretta allocazione delle risorse pubbliche. Visto che per fare i giornali, di carta o sul web, cambia il concetto di distribuzione, non di produzione dell’informazione, servono i giornalisti, suggeriamo di rapportare questi tipo di costi a quelli dl personale. Suggeriamo, pertanto, al comma 7 di introdurre dopo le parole “d), e), f) e g)” la seguente frase “nei limiti del cinquanta per cento di quelli di cui alla lettera a)”.
Comma 14
Il comma 14 introduce degli incentivi per l’assunzione di dipendenti sotto i 35 anni, attraverso un contributo pari al 50 per cento degli oneri previdenziali, una quota aggiuntiva in ragione dei percorsi di alternanza scuola lavoro pari all’uno per cento del contributo spettante e del 5 per cento dei costi di formazione. La norma è condivisibile ma apre la strada a distorsioni e anche a possibili abusi. In particolare si rischia che alcuni giornali si trasformino in ginnasi. In relazione ai dipendenti al di sotto dei 35 anni, a prescindere dall’anno di assunzione, si potrebbe prevedere un contributo ulteriore del 10 per cento rispetto al rimborso dei costi già determinato sulla base dello scaglione di riferimento del costo complessivo; inoltre, per i percorsi di alternanza scuola lavoro riteniamo necessario fissare un limite massimo di incremento del contributo pari al 5 per cento di quello spettante..
Articolo 9)
Comma 2
Per le imprese che fanno solo l’edizione digitale tutti i costi vengono rimborsati con una percentuale pari al 75 per cento degli stessi. Ribadiamo il concetto già espresso con riferimento al comma 7 dell’articolo 8. Esiste una oggettiva criticità per i costi d), e), f) e g) di cui al comma 2 dell’articolo 8. Correlando, invece, questi costi a quello della redazione si crea un preventivo sistema di salvaguardia rispetto alla corretta allocazione delle risorse pubbliche. Si immagini l’imbarazzo che potrebbe causare l’analisi di una domanda di contributi, formalmente perfetta, in cui a fronte di costi del personale per 100.000 euro si documentino altri costi connessi all’edizione digitale per 1.500.000 di euro. Prevenire è meglio che curare, anche per la difficoltà di recuperare le somme indebitamente percepite.
Suggeriamo, pertanto, al comma 2 di introdurre dopo le parole “”non inferiore a 20.000” la seguente frase “i costi di cui alle lettere d), e), f) e g) sono rimborsabili nei limiti del cinquanta per cento di quelli di cui alla lettera a)”.
Comma 4
La lettera a) prevede un rimborso del 75 per costo dell’onere previdenziale sostenuto dall’impresa editrice per l’assunzione di giornalisti che producono contenuti informativi originali; in realtà ci si auspica che tutti i giornalisti producano contenuti informativi originali; la norma rientra nella previsione del legislatore primario, ma suggeriamo di incrementare il contributo del dieci per cento sull’intero costo del giornalista assunto per un triennio;
La lettera b) introduce l’incremento del contributo, pari al venti per cento dei costi della gestione di piattaforme e applicativi dedicati all’ampliamento dell’offerta informativa. Quindi, per questo tipo di costi il contributo sarebbe pari al 95 per cento, tenuto conto di quanto previsto dal comma 2 del medesimo articolo 9. Se sicuramente è giusto sostenere l’innovazione, sicuramente è corretto evitare anche la sola tentazione di assumere costi per i quali ne deriva un rimborso pari al 95 per cento. Ma per essere ragionevoli è sufficiente prevedere che dopo le parole “”impresa editrice” si inserisca la seguente frase “i costi di cui sopra sono rimborsabili, nella anzidetta misura del venti per cento, nei limiti del dieci per cento di quelli di cui alla lettera a) del comma 2 dell’articolo 8”.
Articolo 10)
Comma 5
In riferimento al comma 5 dell’articolo 10 rimandiamo a quanto detto in riferimento alla lettera b) del comma 1 dell’articolo 5.