Circolare File marzo 2017
22 Maggio 2017Proposta FILE decreti attuativi riforma editoria
22 Maggio 2017In previsione della prossima approvazione da parte del Governo dei decreti legislativi previsti dall’articolo 2 della legge 26 ottobre 2016 n.198, la File (Federazione Italiana Liberi Editori) ribadisce la piena disponibilità a partecipare ad eventuali confronti per portare un contributo in termini di esperienze sulla realtà delle imprese editoriali.
Anticipiamo alcune considerazioni, analizzando punto per punto, i contenuti della delega.
In premessa esprimiamo, comunque, il nostro apprezzamento per il livello del dibattito parlamentare che, dopo anni, ha varato una riforma che consente alle imprese di settore di pianificare un futuro possibile. È chiaro che l’inusuale ampiezza della delega, trasferisce, di fatto, al Governo la redazione di un testo organico che fornisca gli strumenti per garantire un efficace collocamento delle risorse pubbliche nell’ottica di tutela del pluralismo e, più in generale, dell’intero sistema industriale dell’editoria italiano, letteralmente collassato a seguito della crisi e dei tagli dell’intervento pubblico.
È evidente che l’auspicio è che nell’esercizio della delega il Governo approvi un testo che abbia il carattere dell’organicità che, oramai, da venti anni manca al sistema.
In relazione all’individuazione della platea dei destinatari dei contributi, la delega ha, a differenza, degli altri punti, criteri molto precisi, individuando, in sintesi sei precise categorie: 1) le cooperative giornalistiche; 2) gli editori non profit o imprese editrici di quotidiani partecipate esclusivamente da enti non profit; 3) le imprese editrici di quotidiani e periodici espressione delle minoranze linguistiche; 4) le imprese e gli enti che editano periodici per non vedenti, 5) le asso ciazioni di consumatori che editano periodici rivolti agli associati: 6) imprese editrici di quotidiani e periodici editi e diffusi all’estero. In relazione alle cooperative giornalistiche una serie di norme che si sono succedute negli ultimi anni hanno introdotto un vero e proprio tipo giuridico di società di natura speciale rispetto allo stesso ordinamento delle società cooperative. Riteniamo che l’attuale impianto, per quanto privo di un testo che consenta una lettura omogenea delle norme, garantisca l’effettiva partecipazione dei soci all’attività editoriale, da un lato, e dei dipendenti a quella sociale, dall’altro. La delega prevede che occorre individuare “criteri in odine alla compagine societaria e alla concentrazione delle quote in capo a ciascun socio”. In questa prospettiva è utile ricordare il principio generale delle cooperative nel nostro ordinamento che prevede che ogni socio abbia diritto ad un solo voto, a prescindere dalla quota sociale sottoscritta. Questo principio trova una deroga, parziale, per la sola figura dei soci sovventori; figura non prevista per le cooperative giornalistiche, in quanto tutti i soci devono essere giornalisti o poligrafici ed è previsto il divieto di distribuzione degli utili. Come è noto, invece, il socio sovventore è in genere società di capitali, non partecipa al lavoro nell’ambito della cooperativa ed ha diritti speciali in sede di distribuzione degli utili. Il problema della concentrazione delle quote in capo a ciascun socio ha, quindi, una valenza relativa. Ma è evidente, invece, che lo stesso discorso potrebbe essere visto da diverso angolo visuale, chiedendo, in altro senso, che l’effettiva partecipazione alla vita sociale sia testimoniata anche da una reale partecipazione al capitale di rischio della società e non, come talvolta accade, con una quota simbolica. Sarebbe, quindi, ipotizzabile nella ridefinizione dei criteri individuare una quota minima ed una massima, nell’ambito dei valori già stabiliti dalla legge sulla cooperazione, che vadano a garantire una reale simmetricità delle posizioni dei singoli soci. Riteniamo che l’attuale impostazione della legge sia da mantenere in relazione alla posizione dei soci sovventori; ma segnaliamo che nel mondo della cooperazione esiste uno strumento di finanziamento delle cooperative, ossia l’ingresso di soggetti istituzionali nel capitale delle cooperative al fine di consentire alle stesse di rafforzare la propria struttura patrimoniale sia in direzione di ristrutturazioni del debito che di investimento. I soggetti istituzionali sono previsti dalla legge in materia, accreditati dal Ministero dello sviluppo economico e soggetti ad uno stringente controllo pubblico. La normativa sull’editoria non prevede l’ingresso di questi soggetti nelle cooperative editrici, in quanto, chiaramente, non sono giornalisti o poligrafici, ed è prevista una remunerazione dell’investimento effettuato, in sede di riacquisto delle quote sociali da parte delle cooperative. Quindi fermo rimanendo l’attuale impianto e l’implicito divieto di associazione di soci sovventori, la possibilità di far accedere alle cooperative editrici soci istituzionali potrebbe essere un intelligente strumento di sinergia tra politiche pubbliche di sostegno. In relazione alla seconda figura di enti, ossia quelle editrici di quotidiani e periodici non profit e quelle editrici di quotidiani partecipate per oltre la maggioranza da fondazioni, cooperative ed enti senza fini di lucro, la delega introduce un doppio canale per questa seconda categoria di imprese. Un periodo di fuoriuscita dal regime di contributi quinquennale nell’ipotesi in cui la partecipazione riguardi la maggioranza del capitale, mentre nell’ipotesi in cui la partecipazione riguardi l’intero capitale dell’impresa il mantenimento del requisito. L’attuale normativa prevede che il diritto in oggetto sia relativo a tre tipi specifici di soggetti: cooperative, fondazioni od enti morali che non abbiano scopo di lucro. La delega amplia di molto la platea, in quanto estende il diritto, a titolo esemplificativo, alle onlus o alle associazioni (tutti soggetti senza fine di lucro). Ora è evidente che il controllo cui è sottoposta una fondazione o un ente morale è di gran lunga superiore a quello previsto per le associazioni. Riteniamo, quindi, essenziale che, nei limiti della delega, il Governo definisca bene i soggetti cui garantire l’accesso ai benefici di legge, garantendo omogeneità per le tre categorie già individuate, cooperative, fondazioni od enti morali che non abbiano scopo di lucro, e limitando il rischio di un eccessivo allargamento della platea. Inoltre, sarebbe opportuno introdurre uno strumento di garanzia per le imprese, il cui capitale non sarà integralmente partecipato dagli enti non profit al termine del quinquennio, per trasformarsi in cooperative.
Come strumenti di tutela circa il corretto impiego delle risorse pubbliche sia per le imprese editrici non profit che per quelle editrici di quotidiani partecipate da enti non profit, l’obbligo di produrre una certificazione da parte di un revisore relativa solo al rispetto della norma, formale, che prevede il divieto di distribuzione degli utili: in modo da unire forma e sostanza.
In relazione alle minoranze linguistiche la delega non fa esplicito riferimento a quelle costituzionalmente garantite. I movimenti migratori degli ultimi anni pongono importanti problemi di integrazione, come possibilità di accedere a diritti, e di rispetto di norme, come obbligo di adempiere ai doveri. Come è sicuramente noto al Dipartimento che, di fatto, governa il settore, esistono una miriade di giornali editi e diffusi in Italia non in italiano, anche in formato elettronico, e che, di fatto, non sono registrati al Tribunale.
Ampliare il concetto di minoranza linguistica, e fermo rimanendo l’esigenza di tutelare quelle di confine, la delega consente di estendere l’orizzonte, come detto, dei diritti e dei doveri.
Per le altre categorie di imprese riteniamo che non ci siano dubbi, attesa la specificità della delega. Anche in relazione all’esclusione riteniamo che la delega sia molto puntuale. Esiste un problema circa la reale definizione delle pubblicazioni tecniche e scientifiche. Infatti mentre la definizione di un giornale organo di movimento politico o sindacale è estremamente semplice, in quanto è la stessa pubblicazione che si definisce organo, la definizione di un giornale tecnico è molto complessa, ed aperta a diverse interpretazioni possibili. Torniamo ad un nostro storico esempio, il compianto periodico di informazione libraria Wuz. Era un (bellissimo) periodico dedicato a raccontare il mondo dell’editoria libraria, con recensioni sulle nuove uscite, suggerimenti, analisi dei testi. Un periodico tecnico, da un lato. Ma una pubblicazione culturale, senza dubbio; e la cultura è per definizione generalista. Da questo angolo visuale sarebbe essenziale che non si discriminino, per assurdo, prodotti editoriali di natura tematica che, comunque, hanno una valenza generalista. Questo vale per la musica, per la politica, per la politica estera e di difesa, per l’economia o per lo sport. La delega, comunque, per la sua genericità sul punto consente di introdurre strumenti che consentano definizione puntuale delle tipologie individuate che eviti anche problemi in sede di applicazione della nuova normativa. In relazione ai requisiti per l’accesso ai contributi la delega prevede, tra le altre indicazioni, “l’edizione in formato digitale dinamico e multimediale della testata per la quale si richiede il contributo, anche eventualmente in parallelo con l’edizione su carta”. Questo passaggio della delega può essere vista alla luce della lettera e), numero 2 del medesimo articolo che qualifica i costi connessi alla trasformazione digitale dell’offerta e del modello imprenditoriale e del comma 4 dell’articolo 3, già entrato in vigore, che definisce il quotidiano on line, regolamentandolo. Una premessa ci sembra essenziale: la modifica della domanda di informazione, sia sotto il profilo contenutistico che della modalità di distribuzione degli stessi è un dato di fatto. E, come è noto al Dipartimento, praticamente tutte le imprese nostre associate hanno affiancato, anche con notevoli investimenti, l’edizione cartacea con quella digitale. Ma la realtà, perché le imprese devono far di conto, e di conto con la realtà, è che ad oggi il risicato conto economico legato all’edizione cartacea appare, a dir poco, opulento rispetto a quello connesso all’edizione digitale. E non è un fattore comune alle imprese associate alla File, perché poco evolute; o poco lungimiranti; né alle sole imprese assistite da contributi. È un fattore comune a tutta l’industria editoriale, su scala mondiale, nella quale, come ai tempi di Gutenberg, il nuovo modello ha sostituito il precedente, inducendo il fallimento di tutti e due. Ma chi opera nel settore, come il Dipartimento, sa bene che oltre semplici slogan inneggianti all’innovazione, la complessità dei momenti di passaggio va governata. In questa prospettiva riterremmo essenziale che nell’ambito dell’esercizio della delega il Governo entri nel merito della realtà e fornisca il settore di strumenti normativi adeguati (ad esempio semplificando anche a livello amministrativo l’attività degli editori facendo convergere, a tutti gli effetti, la testata per l’edizione cartacea, per quella digitale e per il portale, necessario strumento di aggiornamento) e che attui una politica di sostegno che sia finalizzata ad una crescita equilibrata tenendo conto delle effettive potenzialità del mercato e non degli slogan di guru che non conoscono la realtà.
In relazione all’obbligo per l’impresa di dare evidenza, nell’edizione, del contributo ottenuto, la delega va nella direzione di rendere trasparente l’accesso ai benefici di legge. Ci auguriamo che detto obbligo, riferito, nella delega, a tutti gli ulteriori finanziamenti ricevuti a qualsiasi titol o, venga applicato, sulla base del principio costituzionale della parità di trattamento, a tutte le imprese editrici. E, ed è sicuramente possibile, vista l’ampiezza della delega e del principio generale di trasparenza portato avanti da questo Governo, estendere detto obbligo anche all’esposizione nei confronti degli istituti di credito, in modo da rendere noti i mezzi di finanziamento della stampa, in generale, in perfetta applicazione dell’articolo 21 della Costituzione.
In relazione ai criteri di calcolo dei contributi, la legge delega prevede la reintroduzione dei principi degli scaglioni. Ricordiamo che nel passato uno scorretto utilizzo delle risorse è derivato proprio dalla presenza di scaglioni il cui superamento era condizione per fruire di quote più alte di contributi o, addirittura, per accedervi. Un esempio era il limite del trenta per cento dei ricavi da pubblicità sui costi o l’incremento del contributo al superamento delle 10.000 copie di tiratura. L’attuale sistema, invece, basato sul criterio della proporzionalità evita che le imprese vedano gli scaglioni come obiettivi da raggiungere, lavorando, invece, copia su copia, e, quindi, limitando la tentazione di eludere la norma per conseguire indebiti vantaggi.
Quindi, nel rispetto della delega, potrebbe essere opportuno inquadrare il criterio di premialità nell’ambito di un sistema progressivo ma proporzionale, anche con una declinazione puntuale delle percentuali. È necessario comunque tener conto dell’andamento delle vendite complessive di tutto il sistema della carta stampata, che è in costante calo negli ultimi anni, in maniera tale da garantire comunque la sostenibilità delle imprese e non vanificare la volontà del legislatore di garantire un pluralismo effettivo dell’informazione.
È evidente, infatti, che la tutela effettiva del pluralismo non può non tener conto della oggettiva contrazione delle copie vendute, riscontrata in tutto il settore, dovuta in gran parte a fattori esogeni (contrazione della domanda, chiusura dei punti vendita) e, in parte, a fattori endogeni (aumento del prezzo di copertina). È necessario, quindi, che, nell’ambito della delega, il Governo tenga conto della realtà anche sulla base di una lettura comparata dei numeri. Il rischio è infatti di creare un sistema troppo ancorato ai risultati delle vendite, che genererebbe nell’attuale situazione un “effetto avvitamento” (meno copie, meno contributi, meno investimenti, ancora meno copie, meno contributi eccetera), che paradossalmente penalizzerebbe di più gli editori che lavorano in contesti geografici e socio-economici più difficili, proprio laddove, invece, lo Stato dovrebbe intervenire per preservare il pluralismo dell’informazione. Con riferimento alle start up e agli incentivi per gli investimenti in innovazione digitale, fermo rimanendo il dato letterale della delega, il notevole ritardo con cui sono stati indetti i bandi previsti dal fondo straordinario per l’innovazione e l’approvazione delle relative graduatorie, potrebbe suggerire di adottare un regolamento puntuale con una procedura a sportello basata sulla qualità delle proposte presentate anche con l’ipotesi, certamente prevista dalla delega, di partecipazioni temporanee al capitale in modo da sostenere il processo di patrimonializzazione delle imprese. Due parole su un punto essenziale, che è quello della liberalizzazione della rete di vendita. La liberalizzazione, rivolta ad incrementare il numero di rivendite, ha avuto ad oggetto le autorizzazioni per l’esercizio dell’attività di rivendita dei giornali, l’abolizione dei limiti relativi all’esclusività dell’attività e una maggiore flessibilità nell’ambito del rapporto edicole editori. Il risultato, oltre i soliti proclami dei soliti guru, è stato che circa 15.000 edicole hanno chiuso e che, oramai, gli editori hanno spesso difficoltà logistiche a raggiungere i lettori perché, in molte zone, non ci sono più edicole: un paper divide. Nell’ambito di questo processo si è creato un sistema di veri e propri monopoli da parte dei distributori locali che, di fatto, non sono soggetti a nessuna regolamentazione, per cui, come loro stesso dicono, valgono le leggi del mercato. Un mercato fatto, come detto, da tanti monopoli locali. In questa prospettiva è essenziale che nell’ambito della delega si crei un sistema di vera liberalizzazione del mercato, che non possa, quindi, non partire che dalla auspicabile rimozione delle posizioni dominanti o, nell’ipotesi in cui il mercato stesso non possa sopportare due competitors, il divieto assoluto di abuso di dette posizioni. Infine, per quanto riguarda in concreto i nuovi criteri di calcolo del contributo pubblico all’editoria, materia di estrema importanza e delicatezza, rimandiamo ad un successivo approfondimento, anche alla luce delle proposte e delle bozze che saranno approntate dal Dipartimento per l’Editoria.
Distinti saluti.
Napoli, 13.02.2017